Non è un mistero o una novità: le emoji sono entrate “a gamba tesa” nel nostro modo di comunicare, modificando alcuni dei nostri schemi e aiutandoci a decifrare meglio (purtroppo non sempre) quello che può essere il tono di un messaggio scritto.

Proprio l’impossibilità di definire in modo chiaro e palese il tono che si utilizza in uno scambio di messaggi di testo, ha fatto si che le Emoji diventassero una parte importante delle nostre conversazioni quotidiane (sia in ambito privato, che lavorativo).

Anche in uno stato d’emergenza come quello attuale, le emoji “aiutano” chi scrive ad esprimere meglio le proprie sensazioni o la propria percezione delle cose.

Per questo motivo Emojipedia ha condotto un’analisi per scoprire quali sono le emoji più usate durante il Coronavirus.

Tra poco ti riporterò i dati, ma prima, come piace a noi di How to Social, facciamo un po’ di Storia.

La Storia delle Emoji

Forse non sai che le Emoji sono nate in Giappone alla fine degli Anni ’90!

La prima in assoluto fu creata tra il 1998 e il 1999 da Shigetaka Kurita per una piattaforma web (i-mode) progettata per collegare i cellulari a internet.

La parola Emoji è nata dall’unione di 絵 e (immagine), 文 mo (scrittura) e 字 ji (carattere).

Questo è il primo set progettato da Kurita:

Attualmente si stima che vengano inviate più di 6 miliardi di Emoji al giorno!

Quali sono le Emoji più usate durante il Coronavirus

Torniamo allo studio di Emojipedia sulle emoji più usate durante il Coronavirus.

Il portale ha preso in considerazione 205.576 tweet in tutte le lingue del mondo, partendo dagli argomenti “Coronavirus” o “Covid-19”, come elementi di riferimento.

Ecco il grafico emerso dall’analisi:

Al primo posto: la faccina che ride?

Se ti stai chiedendo come sia possibile, voglio ricordarti che questo studio è stato condotto più di un mese fa quando la situazione non era ancora così compromessa a livello globale.

La percezione dell’emergenza era diversa da ora e la voglia di sdrammatizzare predominava sulla paura.

Un altro motivo è che l’analisi non fa distinzione tra tweet “generici” e “specializzati” sull’argomento, quindi un tweet ironico viene considerato allo stesso modo di un tweet istituzionale.

Cosa si può trarre da questa analisi?

Ogni volta che cambia la percezione di un argomento, si modifica anche il linguaggio associato ad esso.

Se Emojipedia avesse condotto ora l’analisi con lo stesso criterio, l‘emoji più utilizzata non sarebbe sicuramente di stampo ironico.

Cosa vuol dire questo?

Che oramai (con tutte le implicazioni positive e negative del caso) le emoji sono parte integrante del nostro linguaggio (ma non c’erano dubbi su questo) e il loro utilizzo cambia a seconda del contesto storico in cui ci troviamo.

E dopo questa analisi spicciola, c’è una domanda che mi assilla:

chissà se Shigetaka Kurita aveva previsto che l’intero pianeta avrebbe utilizzato i suoi simboli per comunicare quando ha disegnato il suo primo set.

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