Marzo 2020: emergenza Covid19, tutte le nostre certezze e le nostre abitudini sono state profondamente modificate e toccate dalle restrizioni messe in atto dal governo italiano per fronteggiare l’emergenza.
Dal lato social sono partite tantissime iniziative: personaggi famosi (o meno famosi) lanciano challenge e invitano le persone a restare in casa (come assolutamente giusto che sia).
Ovunque si possono leggere blog su “le 100 cose che puoi fare a casa durante il coronavirus”. Migliaia di persone dispensano consigli su cosa fare in questa quarantena forzata:
leggere libri, studiare, seguire corsi di formazione online, guardare serie tv prodotte in Polonia negli anni 90′ (con tutto il rispetto per le serie polacche), allenarsi in casa tramite dirette Instagram con i propri personal trainer, ascoltare dj set in streaming e ballare dalla propria camera e, ovviamente, cantare dai balconi orribili canzoni strappalacrime alle 20:00 ogni sera.
Sia assolutamente chiaro: NULLA IN CONTRARIO A TUTTO QUESTO (tranne per i karaoke a cielo aperto).
Qualsiasi cosa sia utile e produttiva (ma a volte anche no) per passare questo inedito e tremendo momento della nostra storia, qualsiasi cosa che possa aiutare le persone a non perdere la testa, è sempre una cosa positiva.
Ma mi sono posto una domanda, forse pensando anche a quello che sto vivendo io in questo momento:
Chi pensa a chi la testa la sta perdendo davvero?
Questo momento storico lascerà delle ripercussioni fisiche e psicologiche in qualcuno di noi?
Secondo la mia inesperta opinione si. Ognuno di noi, una volta finito tutto questo, dovrà riabituarsi alla “vita normale”, dopo essersi forzatamente abituato a un altro stile di vita.
Che ripercussioni può avere tutto ciò?
Dato che questo blog parla di argomenti totalmente diversi, ho deciso di raggiungere una psicologa per farle alcune domande su questo tema.
La professionista in questione è Michela Galluccio, che negli scorsi mesi ha fondato, insieme ad altre colleghe, Restart – a safe space for Music Minds, un progetto totalmente inedito in Italia, nato con l’obiettivo di proteggere musicisti e addetti ai lavori dell’industria musicale in momenti di crisi offrendo servizi di supporto psicologico e consulenza individuale o di gruppo. Il loro progetto punta ad accogliere le esigenze e i problemi specifici dell’industria musicale, al fine di poter fornire un valido aiuto a ciascun professionista del settore.
Quali sono le problematiche a livello di salute mentale che possono insorgere nel doversi abituare a questa quarantena?
“Alzi la mano chi in questo periodo non sta provando ansia, paura, noia e frustrazione. È normale provare questo tipo di emozioni (con altrettante sensazioni negative annesse e connesse), ma in genere le sperimentiamo in associazione a qualcosa che ha una conclusione a breve termine. Per capirci, facciamo l’esempio di un esame: l’ansia di parlare davanti alla commissione, la paura di non riuscire a superarlo, la noia di dover studiare anche quando non ne abbiamo voglia e la frustrazione di non poter far tardi la sera con gli amici perché dobbiamo restare sui libri. Ma sappiamo che questa cosa riguarda esclusivamente la nostra esperienza e che oggi è sabato e il martedì successivo ci sarà l’esame e tutto finirà. Immagina invece che queste sensazioni si accentuino giorno per giorno, cominciando a riguardare i nostri familiari, i nostri amici e, sebbene ci abbiano dato una presunta “data di fine” non possiamo essere certi di quando tutto ciò che stiamo vivendo avrà effettivamente una fine. Allora una semplice ansia situazionale può diventare un disturbo d’ansia e la paura di un momento, un disturbo da attacchi di panico. Ciascuna emozione provata viene amplificata e costantemente alimentata non solo dalla nostra preoccupazione, ma anche da quella degli altri, per noi, per loro stessi e per il resto del mondo. Anche in una catastrofe ambientale, come un terremoto, può esserci sempre una via di fuga;
in questo caso invece no, siamo praticamente in gabbia e molti completamente da soli, magari in città che non conoscono.
Tutte queste variabili danno vita a una condizione di incertezza perenne, alla quale l’essere umano non riesce ad adattarsi; pertanto, quello che in genere chiamiamo eustress, ovvero lo stress buono, che ci spinge a raggiungere degli obiettivi e quindi una nuova situazione di equilibrio (come nel caso dell’esame), diventa distress, cioè lo stress tossico, cronico, una risposta negativa agli stimoli, che rischia di mandarci in burn-out in breve tempo. Inoltre, non dimentichiamo le situazioni in cui si è costretti a restare in casa in presenza di dinamiche familiari disfunzionali o addirittura di violenza domestica; in questo caso è ancora più difficile riuscire a “resistere”. “
Quando tutto sarà finito, quali possono essere i problemi nel tornare alla vita normale?
“Innanzitutto, riprendere la routine quotidiana. Pensiamo alle situazioni di smartworking che tanti italiani stanno vivendo. C’è chi si alza al solito orario, ma i più pensano: chi me lo fa fare? Posso dormire un’ora in più! Questo accade soprattutto se prima, per andare in azienda, c’era bisogno di alzarsi alle sette per prendere un treno o l’auto ed essere in ufficio alle nove, mentre adesso lo smartworking ti permette di svegliarti alle otto e mezza ed essere tranquillamente operativo alle nove. Stesso ragionamento vale per il fatto di prepararsi (lavarsi, vestirsi, truccarsi) per andare al lavoro: lavorare da casa ti permette di non farlo – o meglio è ciò che ti fa credere – ed è un attimo cadere nella trappola (perché davvero è una trappola) del rimanere in pigiama tutto il giorno. Inoltre, sebbene alcuni di noi lavorino ancora, sembra essere diventato inutile programmarsi la giornata, la settimana, il mese o, sicuramente, la motivazione a farlo è diminuita di molto, proprio perché non sappiamo se e quando questi programmi potranno effettivamente essere attuati. Anche il versante relazionale potrebbe risentirne.
Avevi un collega in ufficio che proprio non sopportavi, ma dovevi vederlo ogni mattina? Adesso non ce l’hai più e ti godi il momento.
Ma in qualche modo avevi imparato ad attuare delle strategie di coping per cui riuscivi a gestire sia te stesso che lui e diventavi sempre più bravo a metterle in pratica. Quello che è successo, in pratica, ha interrotto il flow, quel flusso in cui ci eravamo incanalati per benino e che ci faceva sentire di avere il controllo, una consapevolezza intrinseca delle nostre azioni e degli obiettivi chiari.
Giorno per giorno, dunque, perdiamo quei ritmi e anche quelle responsabilità che scandivano la nostra giornata e, più in generale, la nostra vita.
Quando tutto sarà finito dovremo, di nuovo, riabituarci a svegliarci presto, prepararci e programmare degli obiettivi a breve e a lungo termine e, sicuramente, non sarà una passeggiata.”
Il repentino cambiamento di abitudini, può causare dei problemi una volta che la situazione sarà stabile?
“È probabile che le abitudini che oggi adottiamo al fine di contenere il contagio, come il distanziamento sociale, l’utilizzo della mascherina e dei guanti, il frequente lavaggio delle mani e la limitazione di contatti fisici come abbracci e strette di mano, possano permanere anche quando la fase acuta dell’infezione sarà cessata. È chiaro che certi accorgimenti igienici dovrebbero essere applicati sempre e a prescindere, per questioni sia di educazione che di prevenzione, ma purtroppo per chi ha già una vulnerabilità psicologica di base, tali comportamenti rischiano di diventare condotte fobiche.
Dobbiamo tenere presente che questa è una situazione di emergenza, per la quale ci viene richiesto di essere particolarmente attenti, ma ciò non vuol dire che non potremo più abbracciare un nostro caro o che dovremo uscire sempre muniti di mascherina.
Sinceramente, mi aspetto l’adozione di condotte sproporzionate da parte di alcuni anche quando non saranno più necessarie, semplicemente perché la nostra mente funziona per automatismi e acquisizione di script comportamentali che, a causa della condizione attuale, vengono stravolti da un momento all’altro, contribuendo al vacillare della razionalità e della capacità di giudizio.
Certamente, avremo bisogno di un lungo periodo di debriefing e di un piano di riorganizzazione e adattamento, sia in senso macro (società, aziende) che micro (famiglia, noi stessi).“
Rimanere in casa così tanto tempo, pur tenendosi impegnati, può dare vita a qualche disturbo? (mi viene in mente Agorafobia)
“A tal proposito, un gruppo di ricercatori inglesi ha pubblicato una review sulla rivista scientifica“The Lancet” in cui sono stati analizzati 24 studi condotti durante precedenti epidemie come la Sars e l’Ebola. Da tale analisi, è stato rilevato come l’ansia, l’irritabilità e il disturbo post-traumatico da stress siano le conseguenze psicologiche più frequenti e maggiormente osservabili in relazione alla quarantena. Poi ognuno di noi reagisce in modo diverso a situazioni del genere e, nel nostro caso, è la prima volta che ci troviamo a vivere una condizione di questo tipo; pertanto, le reazioni potrebbero essere molteplici, anche in relazione alla nostra storia passata e a quella presente e, soprattutto l’ansia, può presentarsi in diverse forme.
Potrebbe essere l’agorafobia, sì, ma anche il contrario, cioè la claustrofobia. Ad esempio, se si instaura in me l’ansia di uscire perché penso che potrei prendere il virus, soprattutto in luoghi affollati, anche quando in base alle direttive legislative potrò farlo, probabilmente quella paura e quell’ansia non mi saranno passate e continuerò ad avere paura di uscire e di avere contatti con gli altri: agorafobia.
Se, invece, mi vivo molto male questa quarantena, mi sento solo, rinchiuso in quattro mura, lontano dai miei affetti e mi manca l’aria ogni giorno, potrei iniziare ad associare i luoghi chiusi a una situazione di prigionia e, successivamente, sviluppare l’angoscia di dover restare a casa o in ufficio per un po’ di ore: claustrofobia.
Un’altra cosa che mi viene in mente è il disturbo ossessivo-compulsivo. Quante volte al giorno ormai sentiamo alla televisione o ci dicono di lavarci le mani e proteggerci con guanti? Innumerevoli. Sebbene questa campagna abbia degli obiettivi positivi, ovvero la sicurezza e la prevenzione, tale monito potrebbe diventare disfunzionale e trasformarsi in un’ossessione legata al poter essere malati (in questo caso, si parlerebbe di ipocondria) e dare vita alla compulsione di lavarsi le mani eccessivamente, anche quando non necessario.”
Cosa può fare una persona che inizia a mostrare degli squilibri mentali restando chiuso in casa e a chi si può rivolgere?
“In tutta Italia si sono attivati psicologi dell’emergenza e psicoterapeuti per offrire supporto psicologico in modalità telematica tramite piattaforme come Skype, Zoom e così via, sempre nel rispetto della privacy e del segreto professionale. Ad esempio, noi di Restart dal 2 marzo abbiamo attivato uno sportello di sostegno psicologico su Skype per la nostra utenza di riferimento, ovvero i musicisti e i professionisti del music business, ai quali sono stati annullati tour, concerti ed eventi e che si ritrovano a fare i conti con ingenti perdite economiche. Il nostro sportello è attivo dal lunedì al sabato, dalle 12 alle 19, vi si può accedere con o senza appuntamento ed è completamente gratuito.
Invece, l’Ordine degli Psicologi della Lombardia, al quale sono iscritta, ha avviato un’iniziativa che si chiama “Lo psicologo ti aiuta”, tra le cui attività vi è quella di promuovere una serie di video di professionisti della salute mentale che forniscono spunti pratici per affrontare emergenze, ansie, aspetti legati alla scuola e così via, disponibili su YouTube.
Poi c’è “Pronto Psy – Covid 19”, organizzato dall’associazione SIPEM SoS Federazione – Società Italiana Psicologia dell’Emergenza (che fa parte dell’elenco nazionale delle strutture operative della Protezione Civile): si tratta di un servizio gratuito di supporto psicologico telefonico che si rivolge principalmente ai cittadini che si trovano in isolamento o quarantena domiciliare a seguito dell’emergenza sanitaria. Insomma, gli aiuti non stanno mancando e ognuno sta facendo il possibile per mettere le proprie conoscenze e competenze al servizio della salute pubblica, anche sul versante psicologico.”
Quali consigli puoi dare per “non perdere la testa”?
“Sicuramente continuare a mantenere quanto più è possibile una routine regolare, scandire le giornate e dare significato alle ore che abbiamo a disposizione.
I bisogni primari, come il sonno e l’alimentazione devono sempre trovare la giusta collocazione e la giusta misura, questo significa che al mattino dovremmo evitare di alzarci molto tardi se siamo abituati ad alzarci all’alba e che, per quanto cucinare favorisca la creatività e la condivisione, è importante conservare un regime alimentare salutare e senza eccessi.
In una situazione di tale sedentarietà, per quanto è possibile, bisogna cercare di non abbandonare l’attività fisica: ci sono tanti personal trainer che sui social hanno organizzato corsi in diretta, dallo yoga alla zumba, ma anche del semplice stretching giornaliero può aiutare a mantenerci attivi.
Importantissimo è il contatto con familiari e amici: per fortuna, direi, questa cosa è capitata in un momento storico di tecnologia avanzata, quindi le videochiamate con i propri affetti sono fondamentali per confrontarsi, farsi forza a vicenda, o anche solo passare del tempo a chiacchierare e svagarsi. Per esempio, c’è chi organizza delle sedute on line di gioco di ruolo oppure delle riunioni di famiglia, anche con parenti meno prossimi. Alcuni si collegano su Skype e guardano insieme un film o una serie, commentandola in tempo reale! Tutto questo ci fa sentire meno soli e più vicini e ci permette di abbassare un po’ la guardia.
Per quanto riguarda i rapporti con i familiari nell’ambiente domestico, è fondamentale che in casa ognuno rispetti i propri tempi e spazi, così da poter mantenere un equilibrio.
Inoltre, consiglio di limitare l’ascolto dei telegiornali e l’accesso ai social media che a lungo andare possono diventare veicolo più di agitazione che di informazione e di fare attenzione alle notizie che si leggono, selezionando le fonti attendibili.
Per i lavoratori in smartworking, invece, sono stati stilati dei vademecum che includono diversi suggerimenti, dal determinare un orario fisso per svegliarsi al mattino e uno per staccare dal lavoro alla fine del turno (onde evitare di non riuscire a separare la vita professionale da quella personale) al porsi ogni giorno degli obiettivi a breve termine.
Infine, un esercizio molto utile – ancor di più se lo si fa quotidianamente – può essere quello di trovare dei lati positivi in questa situazione; io e una collega che si occupa di psicologia del benessere, ad esempio, abbiamo lanciato su Instagram l’hashtag #adessoposso, invitando i nostri contatti a riprendere in mano attività che avevano abbandonato per mancanza di tempo e a riscoprire degli spazi creativi: dal realizzare un nuovo progetto, al semplice dipingere o leggere quel libro abbandonato nel cassetto.
Al giorno d’oggi, abbiamo così poco tempo a disposizione che spesso ci capita di dimenticarci di noi stessi: possiamo provare a cambiare prospettiva e leggere questo momento come un’opportunità per ritrovarci.“
Chi è Michela Galluccio?
Sono una psicologa di area neuropsicologica con competenze anche nell’ambito della ricerca neuroscientifica acquisite durante il mio percorso di studi. Il mio interesse è rivolto allo studio dei processi cognitivi, in particolare tramite l’utilizzo di nuove tecnologie. L’arte in ogni sua forma è la mia passione parallela e il mio obiettivo è quello di renderla perpendicolare a quella per la psicologia. Le mie competenze riguardano, in ambito clinico, la valutazione e la riabilitazione neuropsicologica e la valutazione del funzionamento psico-affettivo tramite colloquio clinico e testistica. Lo scorso anno ho iniziato la mia formazione da psicoterapeuta presso la scuola di specializzazione in psicoterapia a indirizzo cognitivo-costruttivista. Faccio parte del direttivo dell’associazione Restart – A Safe Space for Music Minds, della quale sono co-founder e in cui ricopro il ruolo di segretario/tesoriere e responsabile del reparto psicologi.